Si saluta prima di andare - Fil Rouge n. 9
Pensiamo sempre che le cose capitino agli altri, ma come spiegare che “gli altri” sei tu?
Quello che viene pensato partendo dai colori può essere eseguito in cinquanta modi diversi.
Rudolf Steiner
Quando avevo tredici anni, ho rischiato di annegare. È agosto ed è una giornata di mare mosso. Non sto facendo il bagno e non solo perché sarebbe rischioso, ma perché mi trovo in un luogo che si chiama “la pericolosa”. È una spiaggia artificiale, una devianza di correnti insospettabili nata in una baia che prima non esisteva. Se cambia il tempo, loro si uniscono in una specie di vortice marino che non lascia scampo a nessuno. In quella spiaggia sono morte diverse persone ed è una delle prime cose che si racconta ai turisti che capitano qui: “Non fare il bagno se il mare è agitato”. Infatti, ero in piedi su un tappeto di sassi, lontano dalla riva; sto dando le spalle alle onde. Una di queste è più grande delle altre, mi prende alla sprovvista e mi trascina via.
Poco distante, c’è la mia migliore amica che grida: “Smettila di bere”. Ma come faccio a smettere se non riesco a stare a galla? Siamo quasi al centro del vortice, c’è una giravolta di sassi sott’acqua, non bisogna lasciarsi andare. Se mio padre fosse in acqua con me direbbe “mettiti a morto”, la tecnica non sempre funziona, ma è utile: sei come sdraiato, non devi nuotare, l’onda ti porta fuori ed è meno violenta. Io continuo a ingoiare mare e a meno di un metro da me, beve pure la mia amica. Siamo in due. Pensi sempre che le cose capitino agli altri, ma questa volta “gli altri” sono io. Sto annegando. Le persone sulla spiaggia si alzano in piedi. Per me, sono come ombre lontane, non vedo più nulla, ma saluto la mia migliore amica come fosse un addio. Si sa che si saluta prima di andare. Ma ancora prima, c’è un preciso momento in cui si è costretti ad accettare che va bene così, coraggio, si è senza speranze.
Ma che giorno è oggi?, inizio a chiedermi. Non riesco a lasciarmi andare perché incomincio a contare. Tipo, 13 agosto. Parlo con Dio: “Scusa se disturbo, ma avrei un problema – penso – ti giuro che se mi salvo, studio Bach per l’esame”. In meno di un mese avrei avuto il test di ammissione al Conservatorio. “Giuro che lo faccio anche se lo detesto”. In quel momento, qualcuno si avvicina e mi prende sulle spalle. Sempre detto che le domande ci tengono vivi. Sono due fratelli (due campioni di pallanuoto) che, pensa la coincidenza, sono in spiaggia e hanno capito perfettamente cosa sta per succedere. Uno prende me, l’altro prende la mia amica. Un’onda più grande delle altre per il ritorno e il mondo, da color porpora, torna come prima.
Ne La teoria dei colori, tra le opere più importanti e incredibili di Goethe, si afferma che non sia la luce bianca a nascere dalla sovrapposizione dei colori, ma il contrario. I colori, quindi, nascono dal rapporto tra luce e tenebra. Dalla dualità di due energie opposte che non si mischiano mai, nemmeno nel grigio, che è un “non colore”. L’azione della tenebra sulla luce crea il giallo, l’arancione e il rosso. Viceversa, nascono il viola, il blu e l’azzurro. Viola e rosso fanno nascere il porpora. Che lui definisce “il colore più degno”.
Non entrerò nello scontro con Newton – che fu totale – e nemmeno nelle analisi di Plotino quando sostiene che “nessun occhio ha mai visto il sole senza diventare simile al sole, né un’anima può vedere la bellezza senza diventare bella”. Ma la domanda di Goethe, dietro la quale si intravede ogni sua convinzione merita un appunto:
Potremmo vedere la luce se non avessimo occhio solare?
Da questo interrogativo ci si arrampica faticosamente sulle parole che vengono dopo, pagina dopo pagina, studiando la questione. “Quando siamo esposti all’influenza di un colore esterno – scrive – creiamo anche un colore complementare interno”. Tradotto: interiorizziamo, diventiamo colore, rosso o se preferisci verde, come fosse un sentimento. Iniziamo a viverlo in modo animico, una dimensione che crediamo di tenere viva solo negli amori e nei lutti, ma che vive – fortunatamente – a prescindere. Anche quando crediamo di non sentire niente. L’anima è la nostra vera bussola. Immaginando di avere una mappa emotiva, il sentiero sarebbe fatto così: rosso potenza, arancio forza interiore, verde salute, azzurro devozione, rosa serenità.
Questa è la settimana in cui muore Silvio Berlusconi, Al Pacino diventa di nuovo papà, a 84 anni. I medici italiani scendono in piazza in 39 città. La loro denuncia parla di “Pericolosa deriva verso la privatizzazione con rischio fuga dei dottori”. Accanto alle notizie più conosciute, aggiungo che a San Francisco hanno un grande problema legato ai robotaxi, i lavori del futuro stanno bussando alle nostre porte. In Belgio, scopro la storia di un tiktoker che decide di fingersi morto per un valido motivo, mentre in Russia è stato creato il chatbot di un politico morto nel 2022. Diventerà una nuova tendenza? Di che colore è stata questa settimana? Per me, è stata porpora. Un colore lontanissimo dagli sfarzi romani e dall’idea di potere. È un ricordo antico che sa di mare e di terrore.
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Quando racconto questa storia uso sempre parole precise: “Stavo morendo”. Perché ne ho un ricordo e una consapevolezza lucida e chiara. Il panico pian piano lascia spazio al dispiacere. A ognuno il suo, a me dispiaceva il pensiero che non avrei più rivisto le persone che amavo e, da bambina quale ero, che non avrei potuto risolvere l’unico problema che avevo in quelle vacanze alla fine delle medie: l’esame di musica su “l’Ave Maria di Gounod”, quella del matrimonio dei miei genitori. Questa settimana più delle altre, ho visto il mare che entrava in un traghetto. Siamo in Grecia. Nel rapporto luce e ombra che crea i colori, la luce non trova spazio. È notte. Probabilmente i bambini stanno dormendo tra le braccia delle loro mamme. Stanno dormendo perché il viaggio è faticoso. Il mare non sa niente e aggiunge il carico. La barca affonda. A bordo ci sono oltre 600 persone. Non c’è una spiaggia di gente in piedi che osserva davanti a loro, perché non c’è proprio nessuno. Non ci sono due fratelli che si tuffano per salvarli, non basterebbero. Penso che qualcuno stia provando a tenersi a galla, ma se il mare ti prende alla sprovvista, c’è poco da fare, non c’è tempo. Pensiamo sempre che le cose capitino agli altri, ma come spiegare che “gli altri” sei tu?