Scommetto su un biscotto di mare - Fil Rouge n. 18
Le cose non facili per le quali è più semplice perdere perché sei l’unico a crederci
Nel 1938, nell’elenco dei personaggi più famosi dell'anno, al secondo posto c’era Franklin Delano Roosevelt e al terzo Adolf Hitler. In testa alla classifica non c’era un uomo ma un cavallo grasso, zoppo e testardo, guidato da un fantino sfortunato e cieco da un occhio. Il suo nome era Seabiscuit.
Laura Hillenbrand
Un “biscotto di mare” (che poi è il nome di un cibo da marinai) che non ha voglia di correre, se ne sta tutto il giorno a mangiare e dormire. Un cavallo che, all’epoca, fa più discutere di quanto riesca a fare Hitler e la sua strategia politica. In questa settimana calda, incendiata e cialtrona, partiremo da lui: Seabiscuit, purosangue, 1933. Siamo in Kentucky, Stati Uniti. Non ci crede nessuno e hanno quasi ragione: il puledro non è fatto per correre. Non corre nemmeno usando la frusta. Pensare che il suo primo addestratore, Sunny Jim Fitzsimmons, non uno qualunque, ma uomo da record, non lo aveva mai fatto prima. Perché tentare di domare un cavallo con la frusta? Infatti, non ci riesce. Seabiscuit non trova un senso logico a certa crudeltà: correre? Non mangiare? Ubbidire, ma a che scopo? I cavalli sono esseri molto intelligenti, dagli un motivo valido e ti ascolteranno, dagli una pista all’ippodromo e vedrai cosa può succedere.
Con “Biscotto di mare”, però, non succede proprio niente. Sa solo perdere male. Fino al giorno in cui, tra passaggi di proprietà, svendite e scommesse nemmeno iniziate, sarebbe arrivato un signore di nome Tom Smith. Qualcuno, forse, ricorderà il suo nome. Tutto ciò che viene toccato dal cinema, lascia più tracce di quanto faccia una persona in vita; o la sua stessa vita. Incredibile. Alla fine, Tom Smith non immaginerebbe mai di essere riuscito a far vincere l’Oscar a chi ha indossato i suoi panni in un film, non è paradossale? Lo è, per un uomo taciturno e solitario. Uno che non dava confidenza e che era davvero complicato da interpretare. Come una foresta per l’uomo che arriva dalla città. Come casa sua: Georgia del Nord. Distese di alberi di pino rosso, boschi di castagno, pioppi, fiori di montagna, paludi, tacchini selvatici, orsi e cervi dalla coda bianca, tutto insieme. Patria dei Creek e dei Cherokee, i nativi: quelli che fanno bene a non fidarsi dell’uomo bianco che usa le armi per occupare ogni desiderio. Meglio riporre la fiducia in una pietra nel fiume. Nel “Chattahoochee”, per la precisione: chatta, che significa “pietra”, e ho chee, cioè “segnato”, ma anche “fiorito”. Pietre che parlano, a modo loro, e ti riportano da valle a casa. E viceversa. Sono loro che, capendo perfettamente il silenzio di quest’uomo schivo, decidono di soprannominarlo “Lone Plainsman”, ovvero il tranquillo solitario. Un cowboy con il sesto senso acceso. Che segue la scia del respiro dei bovini in corsa, conosce a memoria ogni prateria.
Tom Smith non si limita al contatto visivo uomo-animale, Tom ci parla. Capisce i pensieri dei cavalli, sa come prendersene cura. Ha il potere di trasformare un pigro cavallo che pensa di essere un vitello in uno dei più grandi campioni del mondo.
“Mi guardava dall’alto in basso come se stesse dicendo: chi diavolo sei?” – è il racconto del primo incontro con Seabiscuit – “Che io sia dannato se quel furfante non mi ha annuito, come se mi facesse l'onore di notarmi”. Il primo discorso tra i due andò così: uno dimentica la pigrizia dandogli attenzione, mentre lui, che non ricordava nemmeno che nome avesse il cavallo che lo guardava con disprezzo, fu certo che si sarebbero rivisti. “Ci rivedremo”, gli dice. Usa parole che pronuncia a voce alta; privilegio che non dedica nemmeno al vicino di casa. E ha ragione. Si rivedranno molto presto. Il metodo di addestramento non è comune. È roba che gira di bocca in bocca e fa ridere chi ascolta. Ma è tutta gente che di “senso” ne usa poco: a volte valutando mangia, magari si abbuffa. Più facile dire che sta a guardare, ma vede quel che può. Non va oltre. Non ci arriva. Ride senza immaginare quel che sta per accadere. La stalla di Seabiscuit non è per single. Insieme a lui, ci sono un cavallo da compagnia, un cane bianco e una scimmietta. La più dispettosa del gruppo capisce come calmarlo quando si agita. Ha un carattere ribelle, quasi indomabile. Nessuno deve disturbare quando dorme. “Fuori tutti”, è l’ordine di Tom. I giri di prova in pista iniziano a dare risultati. Arrivano dei record inaspettati. Ma nessuno ha il coraggio di cavalcarlo. Il cavallo pigro, ma irrequieto, fa paura. Non esiste fantino disposto a cambiare idea. Fino al giorno in cui, per mancanza di lavoro, gli occhi di un ragazzone con il sangue irlandese, John “Red” M. Pollard, non incontrano quelli di Tom Smith. Che non ha bisogno di grandi conversazioni per vedere. Pollard va matto per Shakespeare, fin da quando era bambino gioca a sfidare Edie, sua sorella: vince chi riesce a memorizzare più poesie. E lui, non perde quasi mai. Mancano i soldi, ma mai i libri, che legge nella stalla di casa.
Poetico, ma con il litigio facile, tutti lo chiamano “Folletto”. Il soprannome se lo guadagna sul campo. O meglio, sul ring, che è il lavoro che serve per tirare su due spicci per sopravvivere. Sa fare a botte dando spettacolo, il primo nome che gli gridano è “Cougar”, cioè puma. Ogni notte, quando combatte, la gente lo supporta. “Dagliele, Red”. Di sangue dal naso ce n’è sempre un po’. Ci perderà un occhio così, ma guadagnerà la dolcezza della calma. Qualcosa di introvabile: la pazienza che lo avrebbe sempre contraddistinto nel trattare i cavalli. Quelli considerati “difficili” sono i suoi preferiti.
Tom Smith lo sa e capisce fin da subito, non solo che Folletto è cieco da un occhio anche se non lo dice, ma che sarebbe stato il solo e l’unico capace di montare Seabiscuit: un cavallo pigro e pazzo domato da un fantino che ci vede poco ed è poeta. Lo capisce prima che i due si scelgano. Sarebbe accaduto al primo colpo, la prima carezza, una zolletta di zucchero, nessuno sfida. Da quel momento, avrebbero vinto di tutto. E lo avrebbero fatto sotto gli occhi di chi ha dieci decimi. Quelli che “guardano bene”, ma non sanno vedere. Ma che si devono ricredere e inchinarsi al miracolo. Cose che accadono ogni giorno, in tutto il mondo: piccoli miracoli, basta crederci.
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In una settimana in cui aumenta il prezzo della benzina, ma anche della luce, del gas, dell’olio, dei mutui. Le Canarie bruciano, mentre le milizie si sparano in Libia. Magari tutto questo cambierà. Magari le notizie come la Svezia che alza il livello di minaccia terroristica diventeranno ingredienti per libri di storia che non si leggono più. Non saprei se scommetterci o meno. Ma di una cosa sono certa. Senza sgualcire il romanticismo, Charles Bukowski direbbe di stare alla larga dai “closer”. E su questo c’è da credergli vista l’esperienza. Un closer è un cavallo che insegue e risale diverse posizioni (…) ma, pur andandoci vicino, non ha mai vinto.
Ma di solito il closer è un pigro cul-di-lardo che supera solo dei cavalli stracchi che hanno già lottato per le prime posizioni e si sono spompati. Non soltanto la folla ama i brocchi di questo tipo ma, a furia di scommetterli, li fa scendere nel pronostico a un terzo del loro valore.
Insomma, scommetti su cose impossibili. Cose non facili per le quali è più semplice perdere perché sei l’unico a crederci. E fammi sapere.