Una volta, mancava poco a Natale, un bambino fece il suo presepio. Preparò le montagne di cartapesta, il cielo di carta da zucchero, il laghetto di vetro, la capanna con sopra la stella. Dispose con fantasia le statuine, levandole una per una dalla scatola in cui le aveva riposte l'anno prima. E dopo che le ebbe collocate qua e là, al loro posto - i pastori e le pecore sul muschio, i re Magi sulla montagna, la vecchina delle caldarroste presso il sentiero - gli sembrò che fossero poche. Restavano troppi spazi vuoti. Che fare? Era troppo tardi per uscire a comprare altre statuine, e del resto lui di soldi non ne aveva tanti…
Mentre si guardava intorno, in cerca di un’idea, gli capitò sotto gli occhi un altro scatolone, quello in cui aveva messo a riposo, in pensione, certi vecchi giocattoli: per esempio, un pellerossa di plastica, ultimo superstite di un'intera tribù che marciava all’assalto di Fort Apache… un piccolo aeroplano senza timone, con l'aviatore seduto nella carlinga… una bamboletta un po’ «hippy», con la chitarra a tracolla: gli era capitata in casa per combinazione, dentro la scatola del detersivo per la lavatrice. Lui, naturalmente, non ci aveva giocato mai, i maschi non giocano con le bambole. Però, a guardarla, era proprio carina.
“Allarme nel Presepe”, Gianni Rodari
Questa mattina mi sono svegliata e sono scesa con il cane a fare colazione nella mia pasticceria preferita: caffè, brioches al pistacchio, “Forse, assaggio anche quel dolce lì in vetrina”, penso. Vicino a me, la macellaia, Sabrina, ormai un’amica. Dice: “Vuoi la carnina?”, parlando con la Bruna. Alle mie spalle, il fruttivendolo, avevamo iniziato un discorso sull’uva bianca, qualche giorno fa. Esco e mi metto in tasca dei saluti volanti, dei “come stai?”, l’immagine dei gabbiani al Porto Antico, bambini e focaccia, buste natalizie sotto braccio, camminate veloci, camminate assorte, senza tempo. E vociare tutto intorno, l’eco delle parole in certi vicoli di Genova che rimbalza da un punto all’altro invitandomi a litigate – senza partecipare – telefonate, dei “A che ora arrivi?”, menù di Natale, feste improvvisate, ricette antiche: “uno strato di orata, uno di barbabietola, salsa verde”. È capponmagro. Tra profumi sparsi, di pizzette appena sfornate e bucato. Poi, una vecchia amica, un collega che spinge il passeggino mentre sua figlia dorme. C’è il mio professore di Storia davanti a una vetrina di ceramiche, l’ingresso di un antico shop di lana pieno di persone. Coni di fritto tenuti con due mani perché non cada niente, nemmeno mezzo totanetto. I tavolini pronti per l’aperitivo del sabato mattina nei bar con il dehor, qualcuno si siede in anticipo. Saluti anche qui. Baci volanti. Telefoni che squillano: “Pronto? A che ora?”.
Il luna park al centro città fa il rumore di risata, di scuola finita, cioè autoscontri e grida da montagne russe. Incontro una ex vicina di casa, ha una stella di Natale tra le braccia. “Tutto bene, qualche acciacco, ma siam qui”. Già, siamo qui. Come un presepe. Di quelli che ogni Natale facciamo, ricostruendo come un gioco un tempo lontanissimo. Una fotografia composta a mano con l’aggiunta sempre di intrusi contemporanei: macchinine, sorprese dell’ovetto Kinder, bambole, fate. Eppure, ci siamo dentro tutto l’anno. Senza saperlo e senza pensarci, siamo come un presepe vivente che apre il giornale e legge di bambini sfruttati in Brasile, guerre, nuovi progetti spaziali, pioggia artificiale anti smog, assalti armati a Praga.
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Siamo tutti qui, ognuno a fare quello che può fare, quello che deve, quello che che è necessario: pastori, angeli, contadini. Ci mettiamo macellai, professori di storia, baristi, pasticceri, giostrai. E mamme, papà, nonni, giornalisti, panettieri, spazzini, preti, prostitute, ladri, direttori di banca, fruttivendoli. Tutti a girarci intorno, prima o poi avremo occasione di conoscerci, magari diventare molto amici o salutarci a distanza. Come il finale di una favola di Gianni Rodari:
– Avete sentito? – disse allora Gaspare. – Il messaggio è per tutti: per i bianchi e per i rossi, per chi va a piedi e per chi va in aeroplano, per chi suona la zampogna e per chi suona la chitarra. Se odiate chi è diverso da voi, vuol dire che del messaggio non avete capito nulla.
A queste parole fece seguito un lungo silenzio. Poi si sentì la vecchina che bisbigliava: - Ehi, ragazzina, ti piacciono le castagne? Su, prendi, e guarda che non te le vendo, te le regalo… E voi, pilota, ne volete? E voi signor Toro Volante, scusate, non ho capito bene il vostro nome, vi piacciono le castagne?
- Augh, - disse il pellerossa.
Augh a tutti!