Ho vissuto per molto tempo nell’oscurità perché mi accontentavo di suonare quello che ci si aspettava da me, senza cercare di aggiungerci qualcosa di mio.
John Coltrane
Il filo rosso di questa settimana lega insieme un giovane giapponese che diventa milionario perché si occupa di trovare eredi agli imprenditori che stanno per andare in pensione, ma anche pillole anti radiazioni, Worldcoin e baci. Ma ricordo che la prima volta che ho messo piede in una grande redazione, si discuteva di titoli di giornale, di notiziabilità (cioè del menu di news da cucinare quel giorno) e di altre cose da fare. Le agenzie, ieri come oggi, battevano veloci: politica, incontri, appuntamenti, analisi, cronaca.
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Seduta alla mia nuova postazione, avevo il compito di segnalare “le rosse”, cioè le notizie imperdibili. Come succede in ospedale: se è gialla, non c’è da preoccuparsi. Ma visto che le rosse non uscivano mai, finivo per leggere qualsiasi cosa, non mi perdevo niente. Un giorno, sono inciampata in un incidente stradale. Ero certa che si fossero sbagliati tutti: “Non può essere gialla questa”, pensavo. C’erano dei ventenni coinvolti, uno scontro in pieno centro, l’arrivo delle ambulanze. Insomma, una cosa grave. Doveva esserci un errore, dai.
“Ci sono morti?”, mi viene chiesto quella mattina. Spero proprio di no, sono stati trasportati in ospedale, rispondo. “Ma ci sono morti?”, continuano. No, non ci sono morti. “E allora è una gialla, serena”. Ho così imparato a capire il meccanismo. La rossa sono: vittime, incidenti mortali, tragedie, scontri diplomatici, catastrofi varie e annunci istituzionali (su quest’ultima cosa dovrei parlare di sottocategorie, ma lo faremo un’altra volta).
E averlo capito, non significa averlo accettato.
“Imparerai che non possiamo preoccuparci per ogni cosa”, mi sentivo dire. E chi parlava, un collega e un amico più grande di me, aveva ragione. Ma io, quella verità, non l’ho mai mandata giù. E non sapendo gestire questo aspetto del giornalismo, e della vita in generale, ho preferito subito trovare un modo per nasconderlo. Che è un po’ come fare scorta di qualcosa quando sai già che quel qualcosa lo userai molto. Non si trattava di smettere di farsi del male, ma di non farlo vedere a nessuno. Come? Incredibilmente, trovai la soluzione in modo inaspettato. Non era l’analista (tempo fa non era culturalmente diffuso come oggi), non era la palestra e nemmeno un corso accelerato di cinismo, ma uno strumento musicale. Uno strumento sincero che non puoi “manipolare”, che tutto ciò che senti, e come ti senti, lo fa sapere a chi è intorno a te: non mente. È impossibile. Un’armatura perfetta, pensavo, visto che il mio obiettivo era diventare il più possibile impenetrabile.
Il risultato è che non mi smuovo dal mio posto nemmeno se inizia la scossa di un terremoto. Non lo dico tanto per dire. Ma dentro me si mette in moto un meccanismo, come ci fosse una fabbrica di note stonate che devo andare a recuperare prima di andare a letto. Le metto in fila, una dopo l’altra e lascio andare a fatica. Ancora oggi va così più o meno ogni giorno: di fronte alle vittime della strada, anziani raggirati, solitudini varie, vittime di guerra, bambini maltrattati, ingiustizie e disperazione. Per me, è tutta “una rossa”. Ma credo che sia giusto così, se questo è il prezzo per non anestetizzarsi e vivere per davvero, sentirò il male forte che provo profondamente con tutte le notizie di cronaca che incontro e racconto. L’Emilia Romagna fa parte di questa lista infinita. Sarebbe così anche se non avessi motivi affettivi e famigliari, ma i motivi ci sono. E visto che ho studiato bene il sassofono, resto calma e “illeggibile”. Penso alla mia nonna che chiede: “Mi ci porti tu, a luglio a casa?”. Sì, ti porto io. Ti porto dove vuoi tu.