“La ristorazione è Teatro, tu non alzi una saracinesca o apri una porta, ma alzi un sipario” – Roberto Costa, miglior ristoratore di Londra
Kitsune in giapponese significa “volpe”. E qui a Londra, dove mi trovo, se ne contano oltre diecimila. Arrivano ovunque, anche all’entrata di Downing Street, in pieno centro; ogni tanto le vedi mentre attraversano la strada senza sapere niente di macchine e semafori. Eppure, non hanno paura, sono abituate alla nostra presenza. Di notte, prendono in ostaggio qualche bidone della spazzatura, litigano con delle grida quasi umane, e se capiscono che torni a casa alla stessa ora, c’è la probabilità che ti aspettino. E infatti, sotto casa di mio fratello, c’è Foxy che attende. “Le chiami tutte con lo stesso nome da più di dieci anni”, dico io. “È un nome perfetto per lei”, risponde lui.
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Mi viene da ridere mentre lo aspetta, seduta vicino all’ingresso, sul marciapiede. Lo osserva a distanza ravvicinata, parla con gli occhi come racconta la mitologia giapponese: dotata di grande intelligenza, sviluppa poteri soprannaturali come assumere sembianze umane. Cioè, trasformarsi improvvisamente in una donna. Foxy, però, rimane nel suo pelo rosso con gli occhi che ti cercano. Aveva ragione Antoine de Saint Exupéry quando scriveva che “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro – come diceva la volpe al piccolo Principe – dalle tre io comincerò ad essere felice”. Se qualcosa dentro di loro si lascia addomesticare, si affezionano, creano un legame; aspettano che la persona in questione torni a casa ogni sera. C’è della furbizia? Dubbi ne ho pochi. Del resto, qualcosa da mangiare non si nega a nessuno, tantomeno a una volpe che ti aspetta.
E mentre siamo al cospetto di alcuni ingredienti della magia (l’inaspettato, per esempio) ripenso alle parole di un amico, qualche ora prima. Nella via dei teatri di Londra, piatti di gnocchi al Castelmagno, grasso di fassona affinato a Colonnata sfrecciano su alcuni carrelli. I bicchieri sono pieni di rosé di Lambrusco, bollicine di Glera non filtrato, e fanno il rumore che forse si sente quando gli angeli si scontrano, non lo sappiamo. Si brinda a qualcosa: il compleanno, la vita, le novità. Consapevoli che nel mondo è impossibile scappare dalle brutte notizie. Che anche oggi, la morte prende spazio al telegiornale. Insieme a lei, la violenza, il cambiamento climatico, la crisi energetica. Nel discorso entrano anche nuove app che con l’aiuto della IA, vengono utilizzate per captare le emozioni di amministratori delegati o capi d’azienda.
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E in tutto questo parlare, tra i “cin cin” appesi in aria, profumo di brace e ketchup al whisky, compare il volto di sua madre. “Scomparsa tre anni fa - dice - Quello che mi manca nella vita è la sua mano sulla spalla”. Uno dei più grandi imprenditori del mondo (e sono tanti, gli italiani che rendono grande il mondo) mentre uno dei suoi locali inizia piano, piano a riempirsi di persone, le candele fatte di grasso di fassona affinato a Colonnata si sciolgono nei piattini circondati da pane abbrustolito, pensa a quando sua mamma, in dialetto stretto, poche parole, ma dette bene, sapeva sollevare il mondo.
Perché le mamme sanno farlo più di chiunque altro: mentre lo vediamo crollare intorno a noi, una loro parola ha il potere di una medicina magica. Ed è tanto bello parlarne, ripeterglielo il più possibile, lontanissimo dal giorno della festa comandata a maggio. Che ogni cosa sa di buono, anche se era già buono. Diventa più buono, anche se fuori piove. E come avrebbe detto lei, e ogni mamma sul pianeta, adesso: “Ti ghe l’è u parægua?”. Sì, ma la pioggia di Londra ti bagna lo stesso.