

Discover more from Fil Rouge
Dove l’amore impera, non c’è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l’amore. L’uno è l’ombra dell'altro.
Carl Gustav Jung
Questa settimana, Brescia finisce sott’acqua, arriva l’estate, è morta Tina Turner, una bambina viene ferita durante una sparatoria nel napoletano, si contano i danni nell’Emilia Romagna, Neuralink, la startup di Elon Musk, ottiene l’approvazione dalla Food and Drug Administration per sperimentare chip cerebrali sugli esseri umani. In tutto questo, un amico ha trascorso tante ore in ospedale con suo padre, che non si è sentito bene. Succede, passati gli “anta” cinquanta volte, verso gli ottant’anni e oltre, insomma può capitare di avere momenti di delirio, partecipare a una specie di cortocircuito mentale. Ed è ciò che è accaduto.
Seduto su una barella ad aspettare, il signor E ha guardato suo figlio dicendo che si doveva preparare perché avrebbe tenuto il discorso di inaugurazione dell’ospedale. “Papà, ma cosa dici?”. Una domanda caduta nel vuoto. Ma soprattutto, una domanda senza senso in quel momento. Sì, perché ci sono momenti in cui bisogna partecipare al gioco e basta. Il signor E, dalla sua barella aveva fretta. L’ospedale non conosce la differenza tra giorno e notte, ma di notte, le ombre che ti seguono fino al letto della stanza, te le ritrovi vicino alle maniglie dei reparti, all’ingresso del pronto soccorso, ma anche vicino all’uscita del parcheggio. Il signor E non era consapevole che quella non fosse una panchina, ma una barella, e aveva fretta perché di lì a poco avrebbe dovuto salire sul palchetto e salutare i presenti. Ne era convinto. Continuava a dire che non poteva fare aspettare tutti coloro che erano venuti per quella inaugurazione.
Poco distante, le analisi scorrevano sotto gli occhi dei dottori in turno: sospetto trombo. Non una certezza, ma un dubbio. “Papà, stai tranquillo che adesso andiamo”. Al signor E non bisogna dare ordini, né prima né mai, e non ha bisogno di rassicurazioni. Lui è uno che ha sempre fatto di testa sua. E visto che ormai è fatta, che dal ritardo non si torna indietro, calma a parte, la soluzione poteva essere solo una: essere sintetici nel discorso, ma offrire il rinfresco. O meglio, scusarsi offrendo qualcosa da bere. “E lo farai tu”, diceva indicando suo figlio, in piedi, tra i dottori e altri pazienti con le gambe sospese. “Hai ragione, farò così papà”, rispondeva lui mentre il signor E voleva spiegare a ogni persona presente il perché di quel ritardo. “Qualcuno lo deve fare”. Già, ma perché siamo in ritardo? Un sorriso gli disegna la faccia. Meno male.
A volte succede, poi il delirio passa. C’è chi ci convive, lo so. Questa volta se n’è andato, una volta superata la porta di casa. Quando mi è stata raccontata la vicenda, sarò onesta, ho pensato che il discorso del signor E, alle tre passate, avrei voluto sentirlo. Vai a capire che senso ha inaugurare un ospedale in piena notte? E che senso avrà fare una ricerca su quanto contribuiscano i rutti delle pecore a “peggiorare la situazione del pianeta”? Tra truffe sempre più sofisticate, dominate dall’intelligenza artificiale e accuse di traffico di esseri umani in un luogo dimenticato da tutti (il Malawi, in Africa) questa settimana mi ha messo di fronte a mille modi per “giocare”.
Puoi ascoltare il podcast su tutte le piattaforme: Spotify - Apple - Spreaker
Mentre bevevo un bicchiere di vino con degli amici, conosco Carlo, di Milano, sei anni da compiere. I cugini gli hanno appena regalato un flauto. “Che fortuna che ho avuto”, penso io, mentre i fischi superano le vie vicine. Iniziamo a chiacchierare, i suoi genitori sono seduti poco più in là, fanno un aperitivo. “Posso stare con loro e mangiare la caramella che mi vogliono regalare?”. Carlo ha l’ok dei capi, si siede al centro, posa il flauto e inizia a raccontare. Le cose da dire sono molte, la caramella è di quelle difficili da scartare, le tasche sono piene di foglie. Come ci sono finite?
Improvvisamente, si ricorda che l’asilo sta per finire, l’estate sta arrivando, bisogna andare da una nonna verso Napoli e dall’altra verso Brindisi. As usual, ormai è prassi. “E comunque, anche lì ho dei giochi”. Ma all’idea di raggiungere una delle mete extra di cui parlano i suoi genitori in salotto, ma anche durante l’aperitivo con i loro amici, arriva il panico. C’è la Sardegna, ma anche un luogo lontanissimo di cui non sa precisamente le coordinate, ha un nome difficile. Gli chiedo: dove vorresti andare tu? “Qui dove sono, a Milano”. Punto. Non fa una piega, Carlo, idee precise e nessun delirio. “Dove abitate che ci rivediamo?”. Io, nei miei trenta passati e lui nei suoi quasi sei, a dirci che tutto sommato sarebbe stato un vero peccato non incontrarsi mai più, nemmeno per un ciao. Ma ti pare? Hai ragione. Vediamoci appena noti un cane piccolo e nero per strada, dico, sarò sicuramente io che porto a spasso la Bruna. “Va bene”, dice Carlo. Allora, a presto. È un gioco. Come il signor E che aspetta l’arrivo del rinfresco da offrire ai presenti. “E scusate il ritardo”. È follia, direbbe qualcuno.
Tra le mille cose che ho letto di Jung, ce n’è una che dice: “Chiamato o non chiamato, Dio è presente”. Be’, a me sembra di vederlo in questi giochi leggeri che annientano età e razionalismi. Mi sembra di vederlo al tavolo, quando il flauto di Carlo diventa meno interessante rispetto ai discorsi da fare. Lo vedo in ospedale, prima di una grande inaugurazione immaginaria, anche lui, seduto su una barella messa a disposizione.