La vita è più capace di qualsiasi scrittore - Fil Rouge n. 11
Imparare la differenza che c’è tra accettare e subire
Clara abitava un universo inventato da lei, protetta dalle avversità della vita, dove la verità prosaica delle cose materiali si confondeva con la verità tumultuosa dei sogni, nei quali non sempre funzionavano le leggi della fisica e della logica.
Isabel Allende, “La casa degli spiriti”
Fin da quando ero bambina ho sempre giocato molto con l’immaginazione. Ci trascinavo dentro mio fratello con quattro pacchetti di cracker, una tenda indiana e due coroncine da mettere in testa. Andavamo nel punto più ombroso dell’orto, o poco più in là, vicino all’erba alta e si giocava al “ci siamo persi”. Realismo magico anti noia: si può chiamare così? Siamo soli nel bosco, ma il finale è deciso e rassicurante: ci penseranno le fate a salvarci. Mangia i cracker e stai tranquillo. Non si faceva venire mezzo dubbio, era vicino a sua sorella più grande e c’era da mangiare. Passavamo le ore così: a inventare favole, ad aggiungere personaggi nuovi a quelle più note e anche a cambiare i finali.
Ho sempre cambiato i “the end”, era il mio modo per migliorare qualcosa che non mi piaceva del tutto. Cosa succede dopo il matrimonio tra Filippo e Aurora? E dove vanno a finire Cenerentola e il principe con la loro carrozza? Sono lì che salutano, inseguiti da topini e uccellini, tutti che sorridono, ma quando tornano? Ma dove state andando tutti? Questi finali aperti non mi hanno mai convinta. Non si può essere davvero felici se qualcuno se ne va. Così, inventavo loro una casa normale e non un castello, poco distante dal luogo delle nozze. “Ci vediamo lì, venite eh!”. Il castello per i ricevimenti, la casa come la mia, per stare tutti più vicini. Vale anche per Peter Pan, la favola più triste del mondo. Immaginare i “bambini sperduti” soli al mondo mi spaccava il cuore. “Stai attento perché finisci sull’isola a giocare a biglie senza ricordare niente”: era una minaccia parecchio efficace. Eppure, nel mio mondo, quei bambini accuditi per poco da Wendy non restavano lì troppo. Li facevo tornare a casa nei modi più insoliti, spesso grazie ai nonni. È risaputo che i nonni non si rassegnino a niente, loro arrivano anche se ti portano al mare, lontanissimo. Prima o poi, suonano al campanello. Mio fratello era d’accordo.
Facciamola finire che ne basta uno per tutti, sarà lui a riportarli ognuno alla sua vita. Ma facciamogli portare qualche cosa da mangiare, della piadina imbottita, che a me sembra che abbiano fame. Fatto. Tutti salvi, tutti contenti, li facciamo arrivare il giorno di Natale? Sì, raggiungiamo il cento per cento della felicità.
Quello che dovevamo fare lo portavano a termine con cura e alla fine, la fata che ci salvava arrivava davvero e tornavamo a casa (circa trenta metri) anche noi, con i nostri segreti e le nostre meraviglie. Perché quando sei piccolo, il mondo è una grande meraviglia. Un po’ perché non hai abbastanza spiegazioni e ti arrangi con quello che sei capace di intuire e di pensare, e un po’ perché è più semplice credere ai miracoli: alle 12, quando hai fame, c’è da mangiare; con la maschera puoi vedere i pesci sott’acqua e immaginare di essere un pesce per un po’; quando leggi ti sembra di essere lì, dentro il libro; sull’altalena si può quasi volare. È tutto un miracolo e ogni cosa finisce bene.
Se anche cresco, non ho smesso di crederci, ma va detto che non ho nessun potere sui finali; ho imparato ad accettarli, a non spostare il punto dove vorrei. Ciò che accade nella realtà è distante dalla logica e dalla comprensione umana. In questi giorni, navigando tra le notizie internazionali, ho ripensato a una delle ultime parole pronunciate da Nadia Toffa: “Non è quanto vivi, ma come vivi”. È il 2019. Si accendono come luminarie sulla mia testa tutte le volte che incontro qualcuno che crede di essere imprigionato dai doveri, dal lavoro, da relazioni. Sono persone che credono che siano gli altri a scrivere il libro della loro vita. Hanno dimenticato che tutto è possibile. Non lasciano il fidanzato anche se lui non ha rispetto, non prova Amore. Quello con la A maiuscola. Non cambiano lavoro perché “Ma poi dove vado?”. Si rassegnano, con la scusa dell’età e dei timori angoscianti, a tutto ciò che succede, non sempre così male, accettabile, potrebbe andare peggio. “Poi, vediamo”. E io vorrei essere capace di suggerire altri finali, come quando avevo dieci anni. Esserne all’altezza, in primis. Perché davanti ai sentimenti degli altri dovremmo essere come menestrelli che non hanno più nulla da cantare, si rimane in silenzio, si contempla il libero arbitrio.
La vita è più capace di qualsiasi scrittore. Però, alzo gli occhi e vedo questa grande scritta: “Non è quanto vivi, ma come vivi”. Io? Con le mani tra le more, qualche graffio causato dai rovi. La luce del mattino dalla finestra, il cane che bacia tutti i bambini che incontra al parco, l’ostacolo come una lezione da imparare. La rabbia come una febbre da indagare: da dove viene? Nessuno la faccia scendere finché non si è capito il perché. E accudirla, lasciarla andare. Cercare il bello in tutto, piangere se viene da piangere, anche in mezzo alla gente. Focalizzare i sogni, a volte cambiarli, ma non avere cassetti nei quali rinchiuderli. Praticare gratitudine per le piccole cose. Può succedere di sentirmi benedetta come accade a chi esce da una malattia. A volte è il tumore, che ho imparato a chiamare “neoplasia” perché i granchi (cancer, dal latino, per via della somiglianza tra le ramificazioni del tumore e le zampe del crostaceo) mi sono sempre stati simpatici. Altre volte è la delusione, sicuramente meno grave, ma comunque una grande ferita interiore come il dispiacere, un addio, un lutto, il tradimento. Ci si può sentire benedetti soltanto perché possiamo riderne, cambiare ogni cosa, ma per oggi lasciarla proprio così com’è. E godersi il silenzio, il suono dei bicchieri che si toccano insieme agli amici, il tempo libero, il tempo della dedizione al lavoro che ami. Imparare la differenza che c’è tra accettare e subire: una differenza sostanziale che apre le porte come fa il vento di burrasca.
Sotto quella scritta illuminata nei miei pensieri, ho fatto uno dei miei giochi di fantasia, al lavoro: con chi andresti a cena se potessi scegliere, anche fossero personaggi inventati dalla letteratura?
C’è chi risponde con la politica, chi cita Dante, la Monroe, John Lennon, Pirandello. Ci penso. Lo so. Andrei a cena con Clara Del Valle, tra le protagoniste de La casa degli spiriti di Isabel Allende. Clara che fa lo sciopero della parola e interrompe il mutismo per dire “sì” a Esteban. Clara che è diversa. Che parla con gli spiriti. Sta al centro dei due mondi che sono uniti a prescindere, ma ci piazza una sedia come si faceva un tempo, verso le 21, nelle sere d’estate in paese, fuori dalla porta di casa. Clara che sa vedere oltre e un po’ di più, ma che non parla, non dice, ma non subisce, non rispetta le convenzioni comuni, fa luce senza accecare.
Andrei a cena con lei, sì. In una settimana in cui la polizia francese arresta centinaia di persone dopo l’uccisione di un ragazzo di 17 anni durante un controllo del traffico. Le protese si stanno trasformando in qualcosa di molto diverso, uscendo dalla periferia, arrivando a Marsiglia tra negozi saccheggiati, rissa tra commercianti (che provano a difendere le proprie vetrine), scuole e auto bruciate. Non si parla più solo di razzismo, ma di guerra civile che come un virus arriva dove vuole. La Svizzera dice “no” alla riesportazione dei Leopard verso l’Ucraina. La Cina è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo dell’energia eolica e solare con cinque anni di anticipo: ci arriva nel 2025 e non nel 2030. La Commissione Ue prepara l’arrivo dell’Euro digitale. La BCE continua ad aumentare i tassi di interesse. Esiste un “cacciatore di ufo” residente ad Harvard che è certo che lui e il suo team possano aver recuperato minuscoli frammenti di un visitatore interstellare sul fondo dell’Oceano Pacifico. Una settimana in cui mi colpisce la scoperta di un farmaco tramite intelligenza artificiale, la mancanza di energia (e conseguenti vittime) in Messico, presto si potranno assaggiare cibi tramite smartphone, in Florida esiste una coppia che sta provando a salvare due isole che verranno sommerse dal mare.
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Sì, credo ne parlerei anche a Clara. Ma tutto comincerebbe con una di quelle domande che non si fanno più: “Clara, raccontami come stai. Come stai?”.