Non vi è pericolo che l’intrepido coraggio non possa vincere. Non c’è prova che purezza immacolata non possa affrontare. Non c’è difficoltà che un intelletto forte non possa superare.
H. P. Blavatsky
Quando mancano cuore, cervello e coraggio, abbiamo di fronte l’uomo di latta, uno spaventapasseri e un leone (che forse non ha ancora capito di essere leone). La storia è questa, Frank Baum lo aveva capito molto presto. Del resto, “Oz” è un luogo dove, prima o poi, ci perdiamo tutti. Ci arriviamo inaspettatamente, legati come siamo da un filo d’argento; lo stesso colore delle scarpe di Dorothy, regalo della strega della Nord. Una speranza per tornare a casa, ma anche una protezione di fronte a ogni ostacolo della vita. E gli ostacoli sono tanti, non c’è bisogno di scriverlo: dal più piccolo a quello che sembra insuperabile, siamo chiamati ad andare oltre. A imparare la “lezione”. Se necessario, anche da un mago, metafora di molte cose in quella che sembra una fiaba innocua, ma che non lo è: “Il mago di Oz”. Perché è la vita.
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“E come ti tratta?”, mi chiede un ragazzo a Palermo, mentre andiamo verso un luogo di lavoro. Che modo incantevole di chiedere “come stai?”, penso. In Sicilia la lingua sa essere gentile come il vivere. Ti benedice anche quando saluta: “assabinidica”. Anche a te, ciao, grazie. Poi, ti bastona, ma forse perché come esseri umani abbiamo necessità di attraversare i dispiaceri per saperli catalogare: quelli che ci costruiamo, quelli che fanno maturare, quelli d’orgoglio molto stupidi e quelli inevitabili che brillano nella notte. Come l’argento appena lucidato. Se ci pensiamo, anche la strega dell’Ovest ha il suo compito in questa storia: come proteggere qualcosa, o qualcuno, finché non lo riconosciamo come importante? Lo stesso mago, dentro il suo castello, figlio di sortilegi e di tranelli, viene a ricordarci, o forse siamo noi che ci avviciniamo per sentire quella voce così sottile, che è già tutto dentro di noi. Che abbiamo cuore, ma la paura di essere feriti, fa sì che lo si prenda e lo si chiuda a chiave in una cassetta di sicurezza. Dimenticandocene. E abbiamo cervello, ma camminiamo per il mondo seguendo le indicazioni del sentiero, quelle che possono valere per tanti, ma non per noi, che forse dovremmo cambiare strada, attraversare il bosco che non ha luminarie e non ha nemmeno bottigliette di acqua da afferrare al volo come accade durante le maratone urbane. Serve coraggio, vero? E quello non si può insegnare, non si può dire, non si può nemmeno trovare con una formula magica. Il coraggio è come un sasso al centro della nostra pancia. Qualcosa che pesa, che non sappiamo cosa sia.
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Poi, arriva l’amore, il primo per mamma e papà, poi i primi amici all’asilo, la maestra che ti insegna a scrivere. Tuo fratello, tua sorella, i nonni, il cane, le tue passioni. Arriva quell’energia che tutto trasforma e ti accompagna nella vita e nelle ingiustizie quotidiane: bambini che muoiono perché vivono in zone del mondo povere e dimenticate, la guerra e i suoi demoni, le scorrettezze, l’assassinio di un sogno. E quell’energia trasforma il sasso pesante in pietra preziosa che splende. E fa luce nel bosco oscuro. Che anche gli animali più feroci per natura, cambiano strada. Qualcuno ci proverà sempre, è istinto ed è lezione da imparare, ma niente ti farà fare un passo indietro. Ogni movimento ti riporterà a casa. E ad attendere, ci sarà il professor Meraviglia. Che magari… porta lui a far fare pipì Totò. Così, puoi fare colazione con calma. E poi, inizia una nuova giornata.