“Serve un nome più adeguato” per chi non ha coraggio - Fil Rouge n. 29
Mi hanno messo in mano il diario di Anna, i libri di storia hanno fatto il resto
“Serve un nome più adeguato, tipo World Explorer”.
Leggo che l’amministrazione dell’asilo “Anne Frank” di Tangerhuette, in Sassonia-Anhalt, vuole cambiare nome – su richiesta dei genitori di alcuni bambini – per non urtare la loro sensibilità. Perché Anna, come la chiamo io da una vita, non è una “storia” per piccoli. “Troppo politica”, dicono loro. Troppo surreale, dico io. Deve essere difficile spiegare a un bambino che, un giorno, una bambina è costretta a nascondersi in una casa per non farsi trovare. Perché è ebrea e “gli ebrei non devono esistere”. Come lo spieghiamo a un bambino che l’essere umano costruisce navicelle spaziali, è capace di immensa bellezza, ma allo stesso tempo, di infinita atrocità? A me è stato spiegato così, che questo mondo non è sempre stato come lo vedi tu oggi. Ah, no? No. Il sole non splende per tutti, basta poco. Hitler non è diventato Hitler da solo: era sostenuto da milioni di persone. E per anni ho immaginato l’odore brutale che arrivava dai forni crematori. Dite che non si sentiva? Che nessuno sapesse dove portassero quei treni carichi di persone fatte di paura? Come si spiega a un bambino del 2023 che tutti facevano finta di niente? Che facevano anche la spia. Che agivano per potere, codardia, estrema cattiveria. Come glielo diciamo senza vergognarci? Lo facciamo e basta. Come è successo a me. Mi hanno messo in mano il diario di Anna, i libri di storia hanno fatto il resto.
Il giorno 7 novembre del 1942, 81 anni fa, un sabato, scriveva così:
Cara Kitty,
mamma è terribilmente nervosa e ciò è sempre molto pericoloso per me. È un caso se il babbo e la mamma non strapazzano mai Margot e tutto ricade su di me? Per esempio: ieri sera Margot leggeva un libro con delle splendide illustrazioni; si alzò, andò di sopra e mise da parte il libro per riprendere a leggerlo più tardi. Io non avevo nulla da fare, presi il libro e guardai le figure. Margot tornò indietro, vide il “suo” libro in mano mia, aggrottò la fronte e mi chiese il libro indietro. Io volevo guardarlo ancora un pochino, Margot si indispettì ancor più, la mamma si intromise dicendo: «Il libro lo sta leggendo Margot; daglielo, dunque!». Papà entrò in camera, non sapeva nemmeno di che cosa si trattava, vide che si faceva un torto a Margot ed esclamò rivolto a me: «Vorrei vedere te, se Margot sfogliasse un tuo libro!».
Io cedetti subito, deposi il libro e uscii dalla camera offesa, secondo lui. Non ero né offesa né stizzita, ma semplicemente rattristata.
Papà ha fatto male a giudicare senza sapere com'era la questione. Io stessa avrei dato il libro a Margot, e glielo avrei dato anche prima, se papà e mamma non se ne fossero immischiati prendendo le difese di Margot come se avesse subito chi sa che torto.
Mamma protegge Margot, è evidente; lei e Margot si appoggiano sempre. Ci ho tanto fatto l'abitudine che sono diventata del tutto indifferente ai rimbrotti di mamma e ai malumori di Margot.
Voglio loro bene soltanto perché, dopo tutto, sono mamma e Margot. Con papà è un’altra cosa. Se egli preferisce Margot, approva ciò che fa Margot, loda Margot e accarezza Margot, io mi rodo, perché vado pazza per papà. È il mio grande modello, a nessuno al mondo voglio bene quanto a papà.
Egli non si rende conto che tratta Margot differentemente da me. Margot è la più brava, la più cara, la più bella, la più buona. Ma anch’io ho qualche diritto a esser presa sul serio. Sono sempre stata il pagliaccio e la briccona della famiglia, ho sempre dovuto espiare doppiamente i miei misfatti, subendomi i rimproveri e soffrendo la mia disperazione interiore. Ora queste carezze superficiali non mi soddisfano più, e tanto meno i cosiddetti discorsi seri. Dal babbo vorrei qualche cosa che egli non è capace di darmi.
Non sono gelosa di Margot, non lo sono mai stata, non invidio la sua bravura e la sua bellezza; ma vorrei che papà mi amasse veramente, non soltanto perché sono la sua bambina, ma perché sono io, Anna.
Mi aggrappo al babbo perché è il solo che tien vivo il mio ultimo resto di sentimento familiare. Papà non capisce che ho bisogno di sfogarmi con lui riguardo alla mamma, non ne vuol parlare, evita tutto ciò che ha relazione coi difetti di mamma. Eppure, per i suoi difetti, è mamma quella che più mi pesa sul cuore. Non so come comportarmi, non posso rinfacciarle la sua negligenza, il suo sarcasmo, la sua durezza, ma non posso nemmeno riconoscermi sempre colpevole.
Sono in tutto esattamente il contrario di lei e perciò, si capisce, ci urtiamo. Non giudico il carattere di mamma, perché non posso giudicarlo; la considero soltanto come madre. Per me mia madre non è “la madre”; io stessa devo essere mia madre. Mi sono separata da loro, navigo da sola e vedrò poi dove approderò. Tutto questo perché ho un'idea altissima di ciò che una madre e donna deve essere e nulla di ciò trovo in quella a cui debbo dare il nome di madre. Mi propongo sempre di non considerare più i cattivi aspetti di mamma, voglio vedere soltanto i suoi lati buoni e cercare in me quel che non trovo in lei. Ma non ci riesco, e il peggio è che né papà né mamma capiscono che nella mia vita essi mi mancano, e che per questo io li condanno. O forse nessuno accontenta del tutto i suoi figli?
Talvolta credo che Dio mi voglia mettere alla prova, ora e più tardi; debbo diventare buona da sola, senza esempi e senza troppi discorsi. Allora sarò io la più forte.
Chi, oltre a me, leggerà un giorno queste lettere? Chi altri mi consolerà? Giacché sovente ho bisogno di essere consolata, non mi sento forte abbastanza e non riesco a fare quel che vorrei. Lo so e cerco sempre, ogni giorno, di migliorarmi.
Non mi trattano mai in modo uguale. Un giorno Anna è tanto saggia e può saper tutto, il giorno dopo sento dire che Anna è un'oca, una sciocchina, che non sa nulla e immagina d'aver imparato chi sa cosa dai libri. Non sono più la bambina viziata di cui si può ridere qualunque cosa faccia. Ho ideali, idee e piani miei propri, ma non so ancora esprimerli con parole. Ah, quante cose mi vengono in mente di sera quando sono sola, o durante il giorno quando debbo sopportare certa gente che mi disgusta o che interpreta male tutte le mie intenzioni! Perciò finisco sempre col ritornare al mio diario, è il mio punto di partenza e il mio punto di arrivo, perché Kitty è sempre paziente; le prometterò che nonostante tutto continuerò a fare la mia strada e a inghiottire le mie lacrime. Vorrei soltanto vederne già i risultati, o almeno essere incoraggiata, non fosse che una volta, da qualcuno che mi voglia bene.
Non mi condannare, ma considera che anch'io talvolta posso sentirmi il cuore pieno.
La tua Anna.
Annelies Marie Frank, in una settimana fatta di guerra, di inflazione, tecnologia, pensioni, c’è qualcuno che pensa che il tuo nome non vada bene per un asilo.
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Sono passati 78 anni dal tuo assassinio, nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, bassa Sassonia. Non si riesce a capire se fosse febbraio o marzo. Lì dove sono state uccise altre 50mila persone, 35mila morte di tifo. Lasciate morire di freddo, fame, malattia, stenti, abbandono. Probabilmente anche tu, insieme a tua sorella, alla quale sfogliavi i libri nell’alloggio segreto.
E in giorni come questi, inaspettati e terrificanti, il cuore è pieno anche per me, come scrivevi tu.